Mancano le commediografe?

30 Giugno 2023

Come sappiamo bene qui in WIFTMI, molte convinzioni si basano sulle nostre esperienze empiriche.

 

Certe convinzioni, se espresse in contesti ufficiali, richiamano una pronta risposta.

 

E’ accaduto con la dichiarazione riportata lo scorso 14 giugno da The Hollywood Reporter Roma che titola l’articolo di Pino Gagliardi Con un investimento di 20 milioni di euro, il ministero della Cultura promuove la campagna “Cinema Revolution – Che spettacolo l’estate” – film italiani ed europei a 3,5 euro – per far tornare nelle sale il pubblico. E alle donne la sottosegretaria dice di non sentirsi “obbligate a fare solo cinema impegnato per sembrare brave registe.

Borgonzoni: “Registe, non abbiate paura: imparate a fare commedie leggere”

 

Questa per esteso l’opinione della sottosegretaria di Stato del ministero della Cultura Lucia Borgonzoni a latere dell’iniziativa Cinema Revolution – oltre tremila schermi aderenti al progetto in tutta Italia – che tra giugno a settembre, permetterà al pubblico di assistere in sala alle nuove uscite di film italiani ed europei al prezzo di 3,50 euro.

 

È ancora difficile per le donne fare cinema in Italia? 

Una cosa che mi stupisce sempre è il fatto che, durante il periodo del cinema muto, in Italia e negli Stati Uniti ci fossero molte più donne in ruoli importanti di quelle che ci sono ora. Adesso abbiamo bisogno di quote per stimolare la presenza delle donne, che un tempo erano molto più presenti. La metà delle sceneggiature depositate negli anni Trenta negli Stati Uniti erano firmate da donne. D’altra parte noi donne dobbiamo cominciare a pensare che possiamo fare tutto, anche spaziare fra i generi. Una che fa la regista, oggi, deve pensare di poter fare anche commedie leggere, magari più commerciali, fregandosene dell’idea del “devo fare un film super impegnato perché sono una donna, altrimenti pensano che io non sia una brava regista”. Dovremmo noi stesse liberarci di tutti questi preconcetti che ci hanno inculcato gli altri. Dobbiamo essere più coraggiose e buttarci nella mischia”.

 

La risposta dalle professioniste non ha tardato a mancare in formato di lettera aperta da parte di 100autori alla stessa testata: Lettera aperta delle autrici a Lucia Borgonzoni: “Noi donne e registe non dobbiamo dimostrare niente”:

 

“Le registe italiane, come tutte le registe e le cineaste del mondo, vogliono e devono sentirsi libere di raccontare qualsiasi storia e di poter esprimere il loro sguardo all’interno di qualunque genere cinematografico, che sia un dramma, una commedia, o un thriller e lo facciamo già, con forza e successo. Molte di noi scrivono e girano commedie da sempre, inoltre la commedia può essere quanto di più impegnato esista, come insegna la storia della commedia italiana. (…)

 

Il problema – a nostro avviso –  non è certo la mancanza di coraggio da parte delle registe a misurarsi con progetti a più marcata vocazione commerciale, ma un sistema produttivo squilibratissimo in cui, per esempio, il budget di un film diretto da una donna risulta essere, in media, la metà rispetto a quello di un film diretto da un collega maschio”.

 

Tornando alla risposta della sottosegretaria, a proposito di economics, mentre è verità assodata che la presenza femminile fosse maggiore nel cinema muto per ragioni strutturali ed economiche (in soldoni: i/le creators di allora hanno potuto lanciarsi nella nuova avventura del cinema perché mancavano ancora strutture, regolamentazioni, pratiche, studios, grandi gruppi, tutto ciò e tutti  quelli che poi avrebbero estromesso le donne dalla regia, la produzione e altri ruoli ancora di ‘potere’), l’assioma successivo è da dimostrare.

 

Empiricamente, dato il numero drammaticamente inferiore delle registe rispetto a quello dei colleghi possiamo dire che il numero di commedie dirette da donne è minore di quello diretto da uomini. Senza però dimenticarci il binomio regista e commedia romantica (v. Nora Ephron), che è a sua volta uno stereotipo (donna=romanticismo), che a sua volta è stato preso e reintepretato ad alti e profittevoli livelli (v. Shonda Rhimes).

 

Sempre empiricamente, possiamo ricordare che – mediamente – le commedie non vincono premi ai festival e per chi vuole premi, distribuzione e quindi circolazione internazionale della propria opera, la categoria ‘drama’ è sempre la più raccomandata.

 

Potremmo poi aggiungere che, vista la fatica di arrivare all’opera prima, seconda, terza che tante ricerche ci raccontano, i progetti che le registe scelgono tenderanno ad essere progetti identitari e/o del cuore nei quali vorranno esprimere la propria visione del mondo o la propria esperienza o i propri desideri. Sempre empiricamente, potremmo dire che la commedia di cassetta, formulaica e spesso non innovativa, non si offre come il miglior campo di espressione della propria poetica, a meno che non si faccia satirica, grottesca e ci si confronti con la grande Lina Wertmüller.

 

Ci piacerebbe poi contare una per una le commedie italiane degli ultimi cinque anni, registi/e, budget e box office… e magari lo faremo. Volontari/e benvenuti/e.

 

Nel frattempo ci andiamo a riguardare Beata te diretto da Paola Randi.

 

USA – Diversità e rappresentazione: a che punto siamo – WIFTM Italia sullo studio AFI

AFI – American Film Institute Women They Talk About; Women Were Better Represented in Hollywood During the Silent Film Era, AFI Study Reports (EXCLUSIVE)

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