Fine serie mai –
di Giusi De Santis

29 Maggio 2023

Giusi De Santis, critica cinematografica e teatrale, story editor e script coordinator, ci racconta Fine serie mai, il volume sulla serialità televisiva di recente pubblicazione che ha curato per la casa editrice L’Asino d’oro.

 

Se la serialità televisiva è l’ultima espressione della contemporaneità, ciò non rappresenta rottura ma continuità. Vedere e apprezzare le immagini su nuovi supporti e in una qualsiasi nuova condizione fa parte dell’ultimo, o già penultimo, capitolo della storia del cinema.” P. Spila

 

La curatela di Fine serie mai mi è apparsa, fin da subito, una gran bella sfida, innanzitutto perché è sempre stato il cinema – ma anche il teatro – da un punto di vista specificamente teorico, a orientare i miei studi e i miei scritti. L’invito della casa editrice L’Asino d’oro è stato dunque un’opportunità per riflettere, in maniera diversa, su un fenomeno come quello della serialità per molteplici aspetti rivoluzionario; serialità che aveva fatto parte, fino a quel momento, del mio bagaglio conoscitivo in quanto spettatrice e addetta ai lavori, occupandomi, da anni, in ambito creativo-produttivo, di serie TV, per una società di produzione.

 

L’apertura di numerosi scenari di approfondimento è stata impressionante, e ha permesso di mettere in secondo piano l’aspetto che, inizialmente, insieme agli altri autori, ci premeva sottolineare: la distanza che separa cinema e serie TV. Spinti dalla curiosità e dalla voglia di indagare gli innumerevoli cambiamenti, in termini di evoluzione e di sperimentazione, pian piano nuovi occhi si sono posati sulle altrettante sfide che la serialità ci chiamava a fronteggiare: linguistica, teorica e anche storico-sociale.

 

Quali modifiche hanno, dunque, subìto i processi di creazione e di consumo con l’avvento della serialità? Quali le motivazioni della sorprendente fascinazione che i mondi immersivi e coinvolgenti delle serie TV, insieme ai loro protagonisti, producono sullo spettatore? Questi sono soltanto alcuni dei quesiti che hanno sospinto la nostra ricerca che, ci siamo resi ben presto conto, si apriva a ulteriori e innumerevoli spunti, riflessioni e approfondimenti.

 

Un lavoro che vede nella coralità il suo aspetto fondante: Natascia Di Vito, montatrice, ripercorre le origini letterarie e le tappe evolutive della serialità, a partire dall’epica antica, dal poema epico-cavalleresco medioevale, per arrivare ai feuilletons del XIX secolo, fino alla Golden Age, e alle espressioni seriali contemporanee.

 

Lo sceneggiatore Guido Silei punta una lente d’ingrandimento sui processi della scrittura seriale e sui cambiamenti che ha subìto all’interno del sistema produttivo.

 

Insieme al critico cinematografico Piero Spila, inoltre, ci siamo chiesti in che modo la critica debba ripensare strumenti e metodologie essendo ormai superate le categorie analitiche tradizionali.

 

Lungo il nostro percorso abbiamo poi chiesto ad altre voci di unirsi alle nostre, ampliando così le prospettive di approfondimento: nascono, così, la postfazione del regista Massimo D’Orzi e le interviste agli sceneggiatori e registi Stefano Sardo ed Emanuele Scaringi.

 

Una questione fondamentale attorno alla quale ruota uno dei discorsi che considero centrali – e che affronto nell’ultimo capitolo sulla creatività – è la seguente: si può parlare di ricerca sulle immagini nella serialità televisiva? Possiamo rintracciare, al suo interno, elementi di ricerca originali oltre la fotografia della realtà?

 

Proposizione su cui riflette anche la psichiatra Alice Dell’Erba alla quale, tra le altre cose, abbiamo chiesto, nell’intervista, di fare chiarezza in merito al legame – oggi tanto dibattuto – tra binge watching, dipendenza e depressione: “La ricerca sulle immagini, quando è presente, prescinde dal tipo di prodotto che la veicola”.

 

È proprio nell’ultimo capitolo che vengono prese in esame alcune serie e, in particolare, le serie Netflix Ethos, Maid e Anatomia di uno scandalo che vedono come protagoniste tre donne: Meryem, Alex e Sophie.

 

È sui loro corpi, gesti e movimenti, che viene inscritta un’originale modalità di rappresentazione, “la cui sfida diventa quella di dirigere, orientare l’indagine verso ‘forme’ e ‘luoghi’ che si allontanino dal linguaggio verbale, e che sappiano trasformarsi in immagini”.

 

Una sorta di riscrittura emotiva che permette al pubblico di seguire il dispiegarsi degli eventi attraverso lo sguardo delle protagoniste, i loro movimenti e cambiamenti, anche impercettibili, al di là dei fatti narrati.

 

Tre storie di intima e ostinata resistenza che, prediligendo un’immagine diversa dalla fotografia della realtà, sono capaci di rappresentare affetti e dinamiche invisibili. Una modalità di rappresentazione per immagini che consente allo spettatore di separarsi dalla tradizionale posizione voyeuristica e, al contempo, di prescindere dall’attivazione di processi di identificazione.

 

Giusi De Santis è autrice di saggi e racconti, critica cinematografica e teatrale, story editor e script coordinator per cinema e serie TV. Dramaturg della compagnia Occhisulmondo, scrive sulla rivista “Left”, dove cura la rubrica di cinema.

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