Cannes Film Festival 2023 – Polemiche? Si, grazie

29 Maggio 2023

Si spengono i riflettori internazionali puntati sull’edizione numero 76 del Festival di Cannes e si affievolisce l’eco delle polemiche che ormai da diversi anni accompagnano l’atteso appuntamento di maggio sui temi del disequilibrio di genere in ambito audiovisivo, della rappresentazione, della rappresentanza e dell’inclusione.

 

Ecco la nostra selezione di storie, che magari si perderanno nel vasto mare delle news non più rilevanti o che oppure faranno storia, come la famosa ‘ri-appropriazione’ della Montée des marches da parte delle simboliche 82 attrici guidate da Cate Blanchett nel 2018. 82 attrici, ricordiamo, come il numero di registe che avevano partecipato alla competizione principale del festival fino a quell’anno, rispetto a 1.688 registi.

 

Iniziamo però dalla fine, dai premi. Diciamolo subito: niente Italia, nulla per Alice Rohrwacher nonostante i nove minuti di ovazione alla premiere. Speriamo che sia l’accoglienza del pubblico nostrano a premiare la sua Chimera.

 

Consegnata da Jane Fonda, la Palma d’Oro 2023 per la terza volta dalla nascita del festival va ad una regista, Justine Triet, con il suo thriller psicologico Anatomie d’une chute, che così raggiunge Jane Campion (1993, The Piano) e Julia Ducournau (2021, Titane) nella lista superslim delle premiate.

 

Per far finta di vivere le emozioni della serata in diretta, qui il reportage minuto per minuto di Chiara Ugolini per La Repubblica.

 

Fonda ha colto l’occasione per ricordare che alla sua prima volta a Cannes non c’erano registe in concorso, mentre quest’anno ne ha viste ben sette in competizione. Un momento storico che (spera Fonda) preluda ad un futura normalità. 

 

Nel suo discorso di accettazione del premio, Triet ha invece criticato il governo francese a proposito della riforma delle pensioni e dei settori creativi che “il governo liberale sta riducendo a merchandising della cultura distruggendo l’eccezione culturale senza la quale non sarei qui davanti a tutti voi”. 

 

A replicare con un tweet è stata la Ministra della Cultura Rima Abdul Malak, che ha sottolineato che il film di Triet non sarebbe neanche stato prodotto se non ci fosse il modello di finanziamento francese a garantire “una diversità unica al mondo”.

 

Si conclude quindi con critica e controcritica un festival iniziato con numerosi altri tweet contrapposti.

 

E come potrebbe essere stato altrimenti se come film di apertura si sceglie il Jeanne du Barry interpretato da un Johnny Depp bisognoso di ripulitura di reputazione dopo essere stato sotto i riflettori per la battaglia legale con l’ex moglie Amber Heard (e tutto quello che l’ha preceduto, a partire dalla definizione wife beater nel 2020 e i ruoli cancellati)? 

Alla regia e nel ruolo della protagonista, la francese Maïwenn, sul cui femminismo o meno e l’aver sputato a un giornalista volano i tweet. 

 

E quindi, benvenuti commenti pro e contro a proposito dell’approccio francese al #MeToo.

 

A proposito degli effetti del #MeToo in Francia, sollecitata da Valérie Ganne di Cineuropa la Ministra Abdul Malak ha detto: “Preferisco guardare fino a che punto siamo arrivati, piuttosto che fare la caricatura di situazioni specifiche e, cosa più importante, mi rifiuto di sostituire il sistema giudiziario. Il movimento #MeToo è nato nel cinema: questa industria ha saputo reinventarsi in Francia. Adesso ci sono i corsi di formazione al CNC e il premio di parità, anche se la strada è ancora lunga. E penso anche che i film aiutino a sensibilizzare su certi dibattiti nella società: il successo di La Nuit du 12 ha avuto il potere di cambiare la mentalità delle persone sui casi quotidiani di femminicidio. È una forma di leva più potente delle colonne o delle testimonianze dei giornali. Il cinema ha il potere di cambiare la mentalità delle persone e nuove storie che portano al progresso nella società stanno prendendo il loro posto”. (qui l’intervista)

 

Nel menzione della ministra al sistema giudiziario’, in molte/i avranno pensato alla questione del Presidente del CNC (Centre national du cinéma et de l’image animée), Dominique Boutonnat, ancora al suo posto nonostante l’accusa nel 2020 di aggressione sessuale nei confronti del figlioccio e successivo rinvio a giudizio nel 2022. E le altre accuse di cedimento al libero mercato.

 

Sulla questione dell’opportunità o meno di scegliere un film che vede protagonista il controverso Depp, il delegato geno generale del festival Thierry Frémaux ha tipicamente commentato “nella mia vita, ho solo una regola, è la libertà di pensiero, e la libertà di parola e di azione all’interno di ciò che è legale” e anche “Se c’è una persona al mondo che non ha trovato il minimo interesse per questo processo tanto pubblicizzato, sono io. Non so di cosa si tratti. Mi interessa anche Johnny Depp come attore”. Mhh-hhm!, avranno sicuramente pensato molte/i. (riassunto delle sue concilianti dichiarazioni qui)

 

A riscaldare ancor di più i motori era stata l’attrice Adèle Haenel (Ritratto della giovane in fiamme) che ha utilizzato una lettera aperta a Télérama per dire addio al cinema come un atto politico contro “per denunciare la compiacenza del settore nei confronti degli aggressori sessuali e più in generale la maniera nella quale il cinema collabora con l’ordine mortifero ecocida razzista del mondo”. (Télérama). Haenel proseguirà il suo lavoro d’attrice a teatro, nonostante Fremaux le abbia dato della dissociata (vedere link sopra).

 

Con queste accese premesse e il bel vantarsi di avere 7 registe 7 su 21 in concorso e un 30% della selezione al femminile (che sicuramente non dipende dall’attenzione mediatica internazionale dedicata al tema negli ultimi sei anni con forte invito a guardare fuori dal clubbino dei soliti amichetti), inevitabile l’affiorare di esperienze più o meno spiacevoli.

 

Marion Cotillard ha parlato situazioni nelle quali non avrebbe dovuto trovarsi, situazioni nelle quali si è sentita in pericolo.

 

Julianne Moore ha sottolineato le diverse aspettative nell’aspetto, nel look, nel comportamento che ci si attende dalle attrici rispetto ai colleghi. Che le si accettino o che le si rifiutino, queste aspettative hanno un effetto su chi le subisce, ingabbiando in strutture sociali oppressive.

 

Cate Blanchett ha ricordato occasioni nelle quali era l’unica donna sul set e di come questo abbia costruito la sua determinazione a cambiare le regole, diventando produttrice con la sua Dirty Films.

 

La regista Monia Chokri ha fatto notare come su femminismo e inclusione la Francia sembri 20/30 anni indietro rispetto al proprio paese, il Canada, e come ogni conversazione sia fin troppo aggressiva.

 

La regista Catherine Corsini, esclusa e riammessa in concorso, accusata di set tossico e comportamenti inappropriati con minori sul set di Le retour, L  ha ammesso un set non facile ma ha anche puntato il dito sulle nuove generazioni di interpreti che a quanto pare non vogliono sacrificarsi abbastanza per un film indipendente. Un sintesi dell’intricata questione qui.

 

A proposito di Corsini, il Collectif 50/50, che lavora per la parità, la sicurezza e l’inclusione nel cinema francese, si è dichiarato “sgomento” dalla presenza del film nella selezione di Cannes e vede anche in questa scelta “il segno che il Festival di Cannes, nel 2023, non ha subito una trasformazione sufficiente per prendere in considerazione il tema della violenza morale, sessista e sessuale”.

 

Il festival è stata anche l’occasione per il Collectif 50/50 di rilanciare la propria missione, dopo  l’implosione dell’anno precedente (qui il riassunto di Hollywood reporter). 

 

Con un nuovo direttivo più diversificato e meno celebrità, il collettivo è tornato al lavoro organizzando panel e monitorando i declamati progressi del festival in tema di inclusione, presentando la loro nuova ricerca dedicata a confrontare la presenza delle registe nei premi dei festival di Cannes, Venezia e Berlino. 

 

Indovinate quale festival è più inclusivo?

 

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Per chiudere, ricordiamo altre vittorie al femminile:

 

> Un Certain Regard – Miglior film: How to Have Sex di Molly Manning Walker

> Un Certain Regard – Miglior regista: Asmae El Moudir per La Mère de tous les mensonges

> L’Oeil d’or. Miglior documentario: La Mère de tous les mensonges regia di Asmae El Moudir e Les Filles d’Olfa, regia di Kaouther Ben Hania

> Miglior Film Europeo (Europa Cinema): Creatura di Elena Martín

 

e che i film diretti da registe in Concorso erano:

 

> Anatomie d’une chute, regia di Justine Triet 

> Banel et Adama, regia di Ramata-Toulaye Sy

> La chimera, regia di Alice Rohrwacher 

> Club Zero, regia di Jessica Hausner 

> L’Été dernier, regia di Catherine Breillat 

> Les Filles d’Olfa, regia di Kaouther Ben Hania 

> Le Retour, regia di Catherine Corsini.

 

E che sì, a Cannes si va anche per far parlare di sé e delle proprie battaglie. E che questa è la libertà di parola che tanto piace evocare quando si fanno scelte che saranno criticate, che si agisca per cambiare la società o solo per sollevare clamore e pubblicità.

 

 

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