Call My Legal –
Stop al “fair use”
di Angelisa Castronovo

29 Maggio 2023

Il 18 maggio scorso, la Corte Suprema degli Stati Uniti, con un voto di 7 a 2, ha statuito che Andy Warhol non poteva attingere liberamente al ritratto di Prince scattato nel 1981 dalla fotografa Lynn Goldsmith, per scopi commerciali, quando a metà degli anni Ottanta creò una delle sue serie più famose.

 

Si tratta di una sentenza rivoluzionaria per gli USA, perché limita l’estensione del fair use, un istituto giuridico che regolamenta, sotto alcune condizioni, la facoltà di utilizzare materiale protetto da copyright per scopi d’informazione, critica o insegnamento, senza chiedere l’autorizzazione o pagare le royalties all’autore originario.

 

Il caso di specie va inquadrato negli anni ’80. Infatti, Lynn Goldsmith era famosa all’epoca per le sue foto di divi del rock. Prince era un musicista emergente e lei, su incarico di Newsweek, lo portò nel suo studio truccandolo con l’ombretto viola e un rossetto per accentuare la sua sensualità androgina. Nel 1984 Vanity Fair commissionò a Warhol un’immagine per accompagnare un articolo intitolato Purple Fame. La rivista pagò alla Goldsmith 400 dollari per i diritti sul ritratto condizionando il compenso all’uso unico legato alla pubblicazione dell’articolo.

 

Andy Warhol produsse altre quindici serigrafie di Prince. Dopo la morte del musicista, nel 2016, la Warhol Foundation concesse in licenza uno dei ritratti sempre a Vanity Fair per la cifra di diecimila dollari, per una copertina dedicata al musicista. Secondo la fotografa Goldsmith, le versioni realizzate da Warhol, così come la licenza della Warhol Foundation violavano la legge sul copyright. Da lì l’inizio di un iter giudiziario, in quanto tale uso non era stato autorizzato dalla fotografa che non era stata pagata per tali riproduzioni.

 

Il contenzioso iniziò nel 2017. In primo grado, la Corte del Distretto Federale di Manhattan aveva deciso a favore di Warhol, ritenendo la fotografia incriminata un c.d. “opera nuova”, mentre in appello aveva vinto la Goldsmith.

 

Secondo la Corte d’Appello, il lavoro di Warhol non era, infatti, sufficientemente trasformativo dell’opera primaria per rientrare nella protezione offerta dal “fair use”. Il principio del fair use, che esiste solo negli Stati Uniti e non in Europa, stabilisce le eccezioni che riguardano la possibilità per un artista di attingere dalla creazione di qualcun altro, evitando che la legge sul copyright blocchi completamente “la capacità degli autori, degli artisti e di tutti noi di esprimersi e di esprimerci facendo riferimento alle opere di altri”.

 

La tanto attesa sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, (che corrisponde alla nostra Corte di Cassazione), a firma della giudice Sonia Sotomayor, limita la difesa di equità del fair use che giustifica, in alcuni casi, trasgressioni del copyright altrui nel mondo dell’arte figurativa. Con la Sentenza viene stabilito che: “Le opere d’arte originali come le fotografie sono protette dal diritto d’autore anche quando vengono utilizzate da famosi artisti”. Secondo la Corte Suprema, affermare l’opposto, “autorizzerebbe lo sfruttamento commerciale di copie di fotografie per usi simili agli usi originali”. Infatti, la semplice azione di prendere una fotografia altrui, alterarne alcuni tratti e venderla come propria non è sufficiente per appellarsi all’uso trasformativo del fair use.

 

La ratio alla base della sentenza è partita proprio da quell’uso trasformativo che da vita ad una c.d. opera nuova che rappresenta uno dei quattro pilastri del test giurisprudenziale del fair use. Secondo la Corte Suprema un utilizzo di materiale protetto altrui è trasformativo se “aggiunge qualcosa di nuovo, un nuovo fine, un angolo diverso, alterando lo scopo con una nuova espressione, significato o messaggio”.

 

Per quanto riguarda la finalità e il carattere dell’uso dell’artista della Pop Art, l’opinione di maggioranza ha ritenuto che nel caso della fotografia di Warhol si trattasse di un uso lucrativo e concorrenziale rispetto al lavoro di Goldsmith. Molti artisti e fotografi come Goldsmith vivono grazie alla concessione in licenza delle proprie fotografie.

 

Secondo la Giudice firmataria della Sentenza rivoluzionaria: “Questi rappresentano un incentivo a creare lavori originali, proteggerli è il fine stesso del copyright”.

 

Tale caso è assolutamente differente rispetto a quello dell’utilizzo del logo delle lattine della Campbell, perché in quella vicenda infatti, non c’era sovrapposizione, e la critica di Warhol al consumismo era chiara, come ha sottolineato la Giudice.

 

L’opinione dissenziente, scritta dal giudice Elena Kagan e affiancata dal giudice capo John Roberts, sosteneva che la decisione della Corte contro Warhol “soffocherà la creatività di ogni tipo” e “ostacolerà nuova arte, musica e letteratura”.

Ovviamente tale decisione ha creato molte posizioni contrastanti tra gli esperti di copyright e proprietà intellettuale, tra cui alcuni esponenti hanno dichiarato che una sentenza di questo tipo “raffredderebbe l’espressione artistica e minerebbe i valori del Primo Emendamento” della Costituzione americana.

Bisognerebbe sempre affrontare caso per caso, operare il c.d. bilanciamento degli interessi in gioco e prendere la decisione con buon senso, salvaguardando la creatività da un lato, ma anche il diritto autorale e la paternità dell’opera, dall’altro. Compromesso non sempre semplice da trovare.

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