Molestie sul lavoro:
una questione di sicurezza
e di opportunità
– di Silvia Altea

28 Maggio 2022

Con la newsletter di aprile abbiamo parlato delle molestie sul lavoro e di come queste non abbiano una specifica dimensione giuridica nell’ambito della disciplina sulla sicurezza sul lavoro (leggi qui).

 

L’accento è stato posto sull’importanza che questa prospettiva può offrire per prevenire comportamenti inappropriati e superare definitivamente il pantano culturale che, ancora oggi, non consente di riconoscere il problema anche ove dovrebbe essere evidente.

 

Basti pensare che addirittura nel metaverso, il mondo virtuale di cui si sente molto parlare di recente, si sono già verificati i primi episodi di molestie: un chiaro paradosso considerato che il metaverso rappresenta una mera proiezione di un’impostazione umana.

 

Inoltre, i recenti fatti di cronaca legati alle presunte plurime molestie (fisiche e verbali) subite da numerose donne e ragazze, alcune minorenni, da allegri uomini in festa a Rimini, unitamente alla risposta pubblica (non solo maschile) che liquida le testimonianze delle presunte vittime come “esagerazioni” (si tratterebbe di una nuova categoria morale: la “maleducazione”), ci dà ancora una volta (e davvero non ce n’era bisogno) la misura della totale assenza di comprensione di cosa sia una “molestia” e di quale sia il limite tra un apprezzamento lecito e uno illecito.

 

Appare subito chiaro, quindi, quanto sia necessario lavorare nei vari contesti per impedire questi comportamenti deviati e il condizionamento culturale che li rende così frequenti.

 

Attualmente abbiamo un’opportunità molto importante: la Convenzione n. 190 dell’OIL (ratificata in Italia con Legge n. 4/2021).

 

Come ho già avuto modo di spiegare, l’adesione alla convenzione obbliga i Paesi aderenti e tra questi l’Italia, ad adottare una serie di misure, tra le quali

 

a) l’adozione e l’attuazione, in consultazione con le lavoratrici e i lavoratori e i loro rappresentanti, di una politica in materia di violenza e di molestie a livello aziendale; 

b) l’inclusione della violenza e delle molestie, come pure dei rischi psicosociali correlati, nella gestione della salute e della sicurezza sul lavoro; 

c) l’identificazione dei pericoli e la valutazione dei rischi relativi alla violenza e alle molestie, con la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori e dei rispettivi rappresentanti, e l’adozione di misure per prevenirli e tenerli sotto controllo; 

d) l’erogazione di informazioni e formazione alle lavoratrici, ai lavoratori e ad altri soggetti interessati, in modalità accessibili a seconda dei casi, in merito ai pericoli e ai rischi identificati di violenza e di molestie e alle relative misure di prevenzione e di protezione, ivi compresi i diritti e le responsabilità dei lavoratori e di altri soggetti interessati in relazione alle politiche di cui al comma a) del presente articolo.” (art. 9 della Convenzione n. 190).

 

Nel testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (d.lgs. 81/2008) non c’è una disciplina riferibile alle molestie e quindi nemmeno l’obbligo di valutazione ed eliminazione dei rischi; non c’è alcun riferimento alla formazione ed informazione dei lavoratori su questa fattispecie. L’unico riferimento alle “donne in stato gravidanza” è all’art. 28, ma esclusivamente in un’ottica di divieto di adibire le lavoratrici a turni di notte o a mansioni pericolose (con il richiamo al Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità di cui al d.lgs. 151/2001).

 

L’articolo 26 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (c.d. codice delle pari opportunità tra uomo e donna) equipara le molestie sessuali alle discriminazioni di genere. Le molestie sessuali sono così identificate come discriminazioni costituite da “quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”. L’ultimo comma di tale norma afferma che “3-ter. I datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile, ad assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Le imprese, i sindacati, i datori di lavoro e i lavoratori e le lavoratrici si impegnano ad assicurare il mantenimento nei luoghi di lavoro di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su principi di eguaglianza e di reciproca correttezza…”.

 

Dunque oltre alle norme che puniscono in generale atti e condotte illecite che si traducano in molestie alla persona, esistono anche alcune norme (come sopra esemplificate) che richiamano l’obbligo del datore di lavoro, già ben noto, di assicurare l’integrità fisica e morale dei lavoratori (art. 2087 cod. civ.).

 

Manca, però, una disciplina specifica, manca la previsione dell’obbligo di prevenzione, informazione, formazione, manca l’obbligo di eliminazione del rischio e le sanzioni che, invece, troviamo disciplinati, anche per settori industriali, nel Testo unico sulla sicurezza sul lavoro.

 

L’esperienza purtroppo ci insegna che affidare una tutela solo al principio generale non basta: dobbiamo far sì che ogni ambiente di lavoro, considerate le sue peculiarità, possa essere libero da molestie di ogni genere.

 

Per raggiungere questo ambizioso obiettivo dobbiamo approfittare della strada indicata dalla Convenzione dell’OIL: facciamone una questione di sicurezza.

 

Carpe diem!

 

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