A proposito di giurie
30 Settembre 2022
Ora che i flash e i red carpet hanno lasciato il Lido, ci prendiamo un momento per applaudire una piccola grande rivoluzione: tre mostre consecutive, tre registe vincitrici del Leone d’oro. Mai successo prima, ma lo sapete già. Ancora applausi quindi a
Chloé Zhao nel 2020 con Nomadland
Audrey Diwan nel 2021 con La scelta di Anne – L’Événement
Laura Poitras nel 2022 con All the Beauty and the Bloodshed.
Tre film molto diversi, che però condividono la necessità di raccontare storie che sono accadute e che hanno l’urgenza di non rimanere fra le pieghe della Storia. Che si tratti di documentario o fiction non importa, conta la forza delle protagoniste e di chi le ritrae.
Prima di loro dobbiamo andare indietro fino al 2001 per trovare Mira Nair premiata per Monsoon Wedding – Matrimonio indiano, che di certo era un crowd-pleaser rispetto ai film più recenti e proveniva da una regista già ammantata di esotismo e romanticismo, quindi ‘sdoganata’ in forza degli stereotipi spillati sul suo sari.
Che sarà successo tra il 2001 e il 2019, neanche un film degno del massimo riconoscimento? Potrebbe essere, ma dovremmo fare un po’ di compiti per esserne davvero certe. Magari un’altra volta.
Ed ora prendiamo in considerazione un altro elemento. La composizione delle Giurie Internazionali che hanno attribuito questi premi:
2020 – Cate Blanchett, presidente (Australia) e giuria 50/50 con Matt Dillon (Usa), Veronika Franz (Austria), Joanna Hogg (Gran Bretagna), Nicola Lagioia (Italia), Christian Petzold (Germania), Ludivine Sagnier (Francia)
2021 – Bong Joon Ho, presidente (Corea del Sud) ‘compensato’ da giuria sbilanciata al femmile e meno ‘bianca’ con Saverio Costanzo (Italia), Virginie Efira (Belgio/Francia), Cynthia Erivo (Gran Bretagna), Sarah Gadon (Canada), Alexander Nanau (Romania), Chloé Zhao (Cina)
2022 – Julianne Moore, presidente (Stati Uniti) e giuria meno equilibrata dal punto di vista di genere ma geograficamente varia con Mariano Cohn (Argentina), Leonardo Di Costanzo (Italia), Audrey Diwan (Francia), Leila Hatami (Iran), Kazuo Ishiguro (Giappone-Gran Bretagna), Rodrigo Sorogoyen (Spagna).
Senza andare troppo indietro nel tempo, negli anni 2010 sono state presidenti Lucrecia Martel (Argentina) nel 2019 e Annette Bening nel 2017. Nel decennio precedente Catherine Deneuve nel 2006 e Gong Li nel 2002. E poi Jane Campion nel 1997. Sabine Azema nel 1987 e Suso Cecchi D’Amico nel 1980. E poi si va troppo indietro, nei tempi dove la mostra non era competitiva e in quelli troppo lontani per immaginare una presidente.
Come è stato detto il 6 settembre scorso al Seminario annuale dedicato alla parità di genere e all’inclusione che WIFTM Italia organizza con Biennale ed Eurimages con la partecipazione del MiC: eppur si muove (qualcosa)!
Se la crescita della presenza femminile nella regia e in altre professioni audiovisive richiede tempo (e investimenti!), lavorare sulla composizione di chi seleziona e chi giudica perché sia non solo più bilanciata dal punto di vista di genere ma anche da quello intersezionale, questo sì è fattibile. E forse, diciamo forse, perché ogni giuria ha le sue dinamiche, minor conformità fra i membri porta ad apprezzare opere diverse e quindi a scelte anche inaspettate, dove non si tratta di raggiungere l’unanimità ma di riconoscere quale film oggi ci sta realmente parlando al meglio delle sue possibilità artistiche.
E questo lo vediamo accadere anche in altri festival internazionali.
Vogliamo quindi dedicare un piccolo applauso al Movimento 50/50 che nel 2018 ha contribuito a sparigliare le solite carte, richiedendo trasparenza e equilibrio di genere nei festival e dal quale nasce grazie alla Biennale e a WIFTM Italia il seminario che nel 2022 per la quarta volta è tornato a far incontrare dati ed esperienze. Ma di questo ve ne parleremo altrove.
Eppur si muove, sì, ma soprattutto non fermiamoci più.
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