Una legge per superare il divario retributivo di genere
– di Silvia Altea
30 Ottobre 2021
E’ stata definitivamente approvata il 26 ottobre scorso la legge “Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo”. La XI Commissione permanente Lavoro del Senato, in sede deliberante, ha approvato all’unanimità il disegno di legge S. 2418 nello stesso testo approvato solo pochi giorni fa (13 ottobre) alla Camera dei Deputati con 393 voti favorevoli (testo unificato proposte nn. 522-615-1320-1345-1675-1732-1925-2338-2424-2454-A in tema di superamento del divario retributivo tra donne e uomini e per favorire l’accesso delle donne al lavoro). E’ ora in attesa di promulgazione e pubblicazione.
Come dimostra proprio il numero di proposte che nel corso degli anni si sono susseguite a partire dal 17 aprile 2018 – senza, tuttavia, arrivare all’esame dell’Aula – il tema del gender pay gap è finalmente affrontato in una legge che ha trovato la condivisa e definitiva approvazione anche al Senato della Repubblica.
Perché questa legge è importante e necessaria?
Le tematiche oggetto del provvedimento sono strettamente correlate con una delle principali finalità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), orientato a perseguire un maggiore coinvolgimento della forza lavoro femminile nello sviluppo della crescita del Paese, come si evince anche da alcune specifiche disposizioni di attuazione della Governance del PNRR, tra cui, in particolare, l’articolo 47 del decreto-legge n. 77 del 2021.
Il testo normativo in commento introduce un rafforzamento della strategia di raggiungimento della parità di genere in quanto specifica attuazione delle disposizioni sui diritti fondamentali dell’individuo, di cui agli articoli 3, 4, 37 e 51 della Costituzione.
Va ricordato che in Italia esiste già una normativa sulle pari opportunità (decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, confluito in un c.d. “testo unico” o Codice); inoltre il principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego è alla base della normativa europea, essendo affermato dall’articolo 157, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e dall’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (direttiva 2006/54/CE, attuata a livello nazionale dal decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 5, che ha apportato modifiche al Codice delle pari opportunità).
Rispetto al quadro normativo già esistente, la legge approvata è importante perché apporta dei correttivi di carattere pratico per rendere ancora più efficaci le misure in vigore.
Ad esempio è stato ampliato l’elenco dei comportamenti che sul posto di lavoro possono favorire situazioni di svantaggio di alcune categorie di lavoratori: la legge ha infatti aggiunto, alla normativa esistente, anche i comportamenti di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro. E’ stato quindi stabilito con chiarezza, attraverso l’introduzione del nuovo comma 2 bis, all’art. 25 del Codice delle Pari Opportunità:
2-bis. Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni: a) posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori; b) limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali; c) limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.
Tra le novità più rilevanti si deve poi segnalare l’introduzione della certificazione della parità di genere (il nuovo art. 46 bis del Codice delle Pari opportunità).
A decorrere dal 1° gennaio 2022 le aziende potranno ottenere la certificazione della parità di genere dopo aver redatto annualmente una relazione che descriva ed attesti le politiche e le misure concrete adottate per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità.
Se tale relazione soddisferà i parametri minimi (parametri che saranno poi specificati con successivi provvedimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri su proposta dei Ministeri designati), l’azienda otterrà la certificazione della parità di genere.
Elemento non secondario è anche l’aspetto delle modalità di controllo attuate dalle aziende per il rispetto dei parametri; controllo che potrà avvenire da parte delle rappresentanze sindacali aziendali, delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta.
Ma ciò che è degno di nota, in questo primo booster normativo per il cambiamento culturale verso la parità di genere, è la misura premiale prevista per le aziende che otterranno la certificazione. In particolare, per le aziende che al 31 dicembre dell’anno precedente abbiano ottenuto la certificazione sulla parità di genere, è prevista la concessione di uno sgravio contributivo nel limite di 50.000.000,00 di euro (determinato annualmente in misura non superiore all’1 per cento e nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna azienda, riparametrato e applicato su base mensile).
Infine il testo introduce un’altra importante novità: la normativa sull’equilibrio di genere negli organi delle società sarà estesa anche alle società pubbliche. Quindi il riparto degli amministratori da eleggere dovrà essere effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi e il genere meno rappresentato dovrà ottenere almeno due quinti degli amministratori eletti. Tale criterio di riparto si dovrà applicare per sei mandati consecutivi.
Conclusivamente possiamo affermare che questa legge, composta di soli 6 articoli, è un tentativo più concreto, rispetto al passato, di superare tutti quegli squilibri legati al genere che ancora oggi impediscono di fatto uno sviluppo economico e sociale del Paese pieno e in linea con i principi nazionali ed europei sopra ricordati.
La strada da percorrere è ancora lunga, ma possiamo giudicare questo passo come un ottimo tentativo verso il superamento del divario di genere.
Silvia Altea è avvocata civilista, si occupa in particolare di diritto del lavoro, diritto dell’informazione e diritto d’autore.
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