Lo Stereotipo del Mese –
“Super Eroine”
– di Astrid de Berardinis
28 Aprile 2021
Per la rubrica di questo mese mi sento di accantonare temporaneamente gli esperimenti di divertissement intellettuale con cui me lo son cavata e dietro cui mi sono anche un po’ nascosta nelle ultime newsletter e di fare invece con voi un sano e necessario pit stop con tanto di dichiarazione di stanchezza propedeutica alla ripartenza. Non si può far tutto. Non si può far tutto e farlo bene.
Per me lo stereotipo da abbattere questo mese è quindi quello del “super eroe”, anzi del super eroe all’epoca delle rivendicazioni di genere: quindi “la super eroina”.
In questo stereotipo si annida la fregatura delle fregature, l’ansia da prestazione, la smania di controllo, la bulimia da performance. E qui poi pullula il lato oscuro della supereroina: la famosa “sindrome dell’impostore” (che effettivamente dati di diffusione alla mano si dovrebbe chiamare “sindrome dell’impostrice”).
Per quelli che non l’avessero ancora sentita nominare o mai googlata, si tratta di una simpatica combinazione di sintomi di inadeguatezza riscontrabile e riscontrata particolarmente tra le donne di un certo successo.
Chi ne soffre, ritiene che le proprie conquiste non si possano attribuire al proprio merito, ma semmai al caso o tutt’al più ad un errato giudizio altrui. Non mi stupisce che a identificarla e darle questo nome a fine anni 70 siano state proprio due donne, le psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes. Io ne soffro da anni.
Supereroine sono state ( o così si sono dovute sentire) le generazioni di donne in lotta tra famiglia, lavoro, carriera, casa, figli, dieta, amicizia. Allargare e arricchire la propria identità aggiungendo molteplici ruoli
è stato (e rimane ancora) uno sforzo titanico, soprattitto in assenza di una ridefinizione dei compiti
e dei ruoli e di una vera alleanza tra i generi (ma direi anche oltre i generi)
“Bastava chiedere” è il titolo della raccolta di storie di “femminismo quotidiano” della fumettista e blogger francese Emma (ed. Laterza). Libro divertente e illuminante che consiglio a chi non lo avesse ancora letto, grazie a cui ho capito chiaramente cosa fosse il “carico mentale” e quanto fosse difficile mollarlo.
Mollare carico mentale significa cedere controllo, chiedere aiuto, dichiarare la propria inadeguatezza, anche solo la propria stanchezza. Una cosa enorme insomma, senza la fiducia di potersi appoggiare per poi ripartire.
In questa narrazione del “ce la farò ad ogni costo”, di resilienza spiattellata in ogni dove, di autopromozione
di superpoteri oltre il senso del ridicolo, la scoperta del limite mi sembra un passo necessario di ripartenza.
Un limite che è ”limes”, confine nella sua duplice accezione. Definisce, separa e anche un po’protegge.
Che aiuta a focalizzare meglio il “fin dove arrivo”. Oltre il limite, oltre il confine, c’è l’Altro/a da me e solo lì esiste una possibilità di scambio e conquista. Ma se un limite non si riconosce, un limite non si supererà mai.
Questo mese, mentre lanciamo nuove partnership, costruiamo alleanze, esploriamo nuovi territori oltre il limes e continuiamo a combattere i nostri stereotipi e pregiudizi, mi sento di ringraziare particolarmente le socie ed
soci che contribuiscono a smontare la mia ansia da prestazione, che mi permettono di dichiarare i mie limiti, che arricchiscono questo viaggio di donne e di uomini con tutti i loro limiti.
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