A tutto schermo –
Due Donne – Passing
29 Novembre 2021
Due Donne – Passing è l’esordio alla regia dell’attrice britannica Rebecca Hall (The Town, Vicky Cristina Barcelona).
Ha avuto il suo debutto italiano alla Festa del Cinema di Roma dopo aver impressionato pubblico e critica al Sundance Film Festival ed è l’adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Nella Larsen. E’ disponibile su Netflix dal 10 novembre.
Rebecca Hall è anche sceneggiatrice del film e prende spunto dal romanzo di Larsen principalmente per parlare del tema del razzismo, argomento molto forte nel film, considerando che una delle due protagoniste decide di farsi passare per bianca. Tuttavia, il concetto è molto più complesso, poiché la nozione di “passing” viene adottata anche per il genere e le responsabilità della maternità, della sessualità e la celebrazione della femminilità in un’epoca in cui le donne non avevano certo gli stessi diritti degli uomini nella società.
Il film affronta quindi anche il tema della repressione e delle bugie che le persone raccontano a sé stesse e agli altri per proteggersi dalla realtà.
Ambientato a New York alla fine degli anni Venti, racconta le vicende di Irene Redfield (Tessa Thompson), donna afroamericana che si fa passare per bianca, che incontra per caso, dopo tanti anni in un caffè, Clare Kendry (Ruth Negga), una sua vecchia amica d’infanzia.
Clare, sposata con un ricco bianco razzista inconsapevole delle origini della moglie, comincia ad insinuarsi sempre di più nella vita di Irene: frequenta sempre di più la sua casa, si attira le simpatie del marito dell’amica ed entra sempre più nel suo cerchio sociale.
L’incontro tra Irene e Clare, amiche d’infanzia, va letto come l’episodio di un noir: cambierà tutto irrimediabilmente. La prima, moglie di un medico afroamericano, è una donna di colore nella Harlem benestante del primo dopoguerra: in casa si parla poco o niente dei linciaggi pubblici, ma in compenso si organizzano balli o tè sbucati dalle pagine più lussuose di Fitzgerald. L’altra, Clare, è una disertrice: graziata da una pelle dorata e dai tratti gentili del viso, infatti, si finge bianca secondo una pratica assai diffusa negli anni ruggenti. Nonostante quella scelta, esecrabile per Irene, la fascinazione verso Clare è istantanea: maliziosa, divorata dalla smania di possesso, la seconda donna è una femme fatale che s’intrufola nella vita dell’altra e mette tutto a soqquadro.
Irene è davvero appagata, o nel suo matrimonio ci sono ombre degne di sospetto? Che le liti frequenti per l’educazione dei figli siano un’avvisaglia dell’insoddisfazione latente del marito?
Sarebbe stato meglio imitare Clare e vivere nella bugia, sotto una maschera d’avorio? Libera, ma non per questo al sicuro, Clare ha bisogno di un tramite per tornare a frequentare la sua gente. Ma una volta «passati» è forse possibile tornare indietro? All’apparenza distante dai drammi strazianti della discriminazione, immerso com’è nella bolla ovattata dell’alta-borghesia, Passing alimenta una rete di sospetti, pensieri scomodi, ambiguità etiche.
Girato in bianco e nero in formato 4:3 è un film che fa del contrasto il suo tratto distintivo: grazie al grande lavoro svolto dal direttore della fotografia Eduard Grau (A Single Man, Boy Erased), la scelta di non utilizzare il colore è fondamentale per evidenziare al meglio, dal punto di vista visivo, le contraddizioni non solo della società americana di quel tempo ma anche del legame tra Irene e Clare.
Per ottenere il coinvolgimento del pubblico la regista sa che la scelta degli attori è cruciale: Tessa Thompson e Ruth Negga sono semplicemente perfette nei loro ruoli e, grazie anche alle interpretazioni dei loro colleghi (Bill Camp, André Holland e Alexander Skarsgård su tutti), il film acquisisce uno spessore artistico significativo.
In un periodo storico dove le autrici ottengono riconoscimenti sempre più importanti, come Chloé Zhao agli Oscar con Nomadland, Julia Ducournau a Cannes con Titane e Audrey Diwan a Venezia con La Scelta di Anne – L’Événement, l’arrivo di una nuova regista di talento non può che fare bene all’industria cinematografica.
E chissà che non si farà strada fino agli Oscar, con la sua storia, attuale più che mai, d’identità razziale e linee invisibili. Quanto è seducente, quanto pericoloso, spacciarsi per ciò che non si è?
Pubblicato negli anni Trenta da un’autrice di madre danese e padre caraibico, il romanzo vive una seconda vita grazie alla recente rivalutazione della recente critica femminista e all’attenzione impensata del cinema. Bistrattato, dimenticato, frainteso, riesce tutt’oggi a sorprendere grazie al suo piglio intrigante e inquieto: un incrocio tra Alfred Hitchcock e Woody Allen.
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