Molestie e sicurezza sul lavoro
– di Silvia Altea

28 Marzo 2022

E’ ora di riconoscere che le molestie e la violenza di genere riguardano anche la sicurezza sul lavoro.

 

Il problema è noto ma se ne parla poco, malvolentieri e non nella giusta prospettiva.

Partiamo da un dato: le molestie sul lavoro sono una realtà semi sommersa perché le vittime (prevalentemente donne secondo il drammatico trend del più ampio problema della violenza di genere), fanno ancora oggi fatica a riconoscerle e, ancor più, a denunciare i responsabili.

 

Soprattutto nel settore dell’audiovisivo.

 

Prova di questa difficoltà oggettiva è, ad esempio, il movimento #MeToo nato dall’onda propulsiva generata dal c.d. “caso Weinstein” il noto produttore cinematografico accusato da diverse donne professioniste del cinema, di vere e proprie molestie. Molestie che, in molti casi, erano state subite molti anni prima, ma che non erano state riconosciute immediatamente come tali dalle vittime, anche perché alcune si trovavano agli inizi delle loro carriere, quando la loro forza contrattuale, come lavoratrici, era ancora molto debole e pressoché inesistente.

 

Il comune denominatore di queste vicende è che in tutti i casi la brutalità subita dalle vittime è stata spesso percepita dal resto del contesto lavorativo come “normale” (“tutti sapevano che”, “se vuoi lavorare ci devi stare”), e tale consapevolezza ha drammaticamente condizionato l’intima percezione delle vittime per molti anni, fino a quando, complici i tempi più maturi, hanno avuto il coraggio di denunciare questa ignobile “prassi” identificando le relative condotte come illecite e contribuendo a “liberare” tutte le persone che, in qualche modo, sono rimaste anch’esse vittime di una percezione distorta e, purtroppo, generalizzata, della realtà.

 

Il fatto che “nell’ambiente”, come spesso si sente dire, “si sa” che se vuoi fare carriera o lavorare nel settore non devi protestare o “creare problemi” davanti a situazioni quantomeno ambigue, ci fa capire che non è solo una questione di responsabili. E’ anche un problema di comprensione della realtà (dipendente dal contesto sociale e culturale) e di sicurezza sul lavoro.

 

Eppure di questo non si parla mai. O meglio, come è stato stigmatizzato all’inizio: non se ne parla abbastanza e nel modo corretto.

 

La replica che mi sento spesso opporre quando tento di affrontare l’argomento da un’altra prospettiva, è quasi sempre la stessa:

 

Esistono già norme e leggi che puniscono le molestie. Che senso ha introdurre ulteriori specificazioni?”.

 

E’ vero, le molestie sono un reato e il responsabile è punito a seconda della gravità del fatto, come specificamente previsto dalla legge.

 

Ma questo non ci esime dal porci una domanda: i lavoratori e le lavoratrici hanno diritto di svolgere la prestazione di lavoro e di esplicare la loro personalità in un contesto sociale e culturale “sano” (con ciò intendendo non condizionato dalla morale medio tempore diffusa, ma garantito dal riconoscimento dei diritti)?

 

La risposta è sì.

 

Una volta chiarito che il nostro ordinamento non ha buchi normativi che possano consentire, ad esempio, all’autore di una molestia di “farla franca” o lascino la vittima priva di tutela, deve essere evidenziato che manca un riferimento specifico nella normativa esistente sulla sicurezza sul lavoro.

 

Le molestie intese come violenza esplicita o implicita, discriminazione di genere, non sono espressamente indicate come un rischio sul lavoro da prevenire.

 

Eppure, analogamente ad altri fattori di rischio, anche la mancata prevenzione e sorveglianza nei luoghi di lavoro, anche solo su condotte apparentemente “neutre”, può contribuire alla costruzione di un sistema di rapporti distorto che penalizza le categorie più deboli (perché sottorappresentate o con meno potere contrattuale).

 

E statisticamente ancora oggi, nel 2022, le categorie più deboli e sottorappresentate nel mondo del lavoro – soprattutto in ruoli decisionali e di responsabilità – sono proprio le donne. E sono le donne a subire maggiormente le molestie sul lavoro.

 

Chi si trova a subire per lungo tempo comportamenti irrispettosi (anche se non assurgenti a connotazione tipicamente illecita nella singola manifestazione), subisce un danno sotto molteplici aspetti: un danno economico perché la sua competenza viene sottostimata, e a parità di mansioni pagata meno; un danno alla salute perché comportamenti discriminatori o violenti possono provocare una malattia che incide sulla personalità della vittima, condizionandone la vita, anche di relazione.

 

In Italia, dopo il riordino della normativa in materia di sicurezza sul lavoro manca tuttora un’attenzione specifica al problema e una presa d’atto delle peculiarità di alcuni settori produttivi come, ad esempio, il settore audiovisivo: c’è bisogno di una cultura del lavoro e della prevenzione più attenta e specifica, anche alle evoluzioni sociali.

 

Nel panorama internazionale è recente (21 giugno 2019) l’adozione da parte della Conferenza dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) della Convenzione n. 190 sulla violenza e le molestie sul lavoro e la relativa Raccomandazione n. 206.

 

Come si legge nella prefazione del Direttore generale dell’OIL, Guy Ryder :

 

“…La comunità internazionale ha stabilito che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro non possono più essere tollerate e devono essere eliminatePer la prima volta, il diritto a un mondo del lavoro libero da violenza e molestie è espresso in un trattato internazionale.

 

La violenza e le molestie nel mondo del lavoro rimangono pervasive, colpendo tutti i paesi, le professioni e le modalità di lavoro. Questi fenomeni si manifestano in diverse forme e contesti. Essi privano le persone della loro dignità e sono incompatibili con il lavoro dignitoso e la giustizia sociale. Il persistere delle disuguaglianze, i cambiamenti demografici, i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro e nella tecnologia possono esacerbare ulteriormente la violenza e le molestie, comprese quelle basate sul genere…”.

 

La convenzione è stata ratificata in Italia (nono paese al mondo) il 29 ottobre 2021.

 

Questo è un primo passo verso la lotta contro le molestie sul posto di lavoro e un primo riconoscimento di cosa sia esattamente tale fenomeno la cui consistenza è stata spesso sottovalutata.

 

Recita, infatti, l’art. 1 della Convenzione n. 190:

 

“…a) l’espressione “violenza e molestie” nel mondo del lavoro indica un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, e include la violenza e le molestie di genere; 

 

b) l’espressione “violenza e molestie di genere” indica la violenza e le molestie nei confronti di persone in ragione del loro sesso o genere, o che colpiscano in modo sproporzionato persone di un sesso o genere specifico, ivi comprese le molestie sessuali…”.

 

Ecco nero su bianco, solo pochi mesi fa, quello che non sia aveva il coraggio di scrivere, di dire.

 

Con la ratifica di tale trattato l’Italia si è impegnata, quindi, ad adottare leggi e regolamenti che definiscano e proibiscano la violenza e le molestie nel mondo del lavoro, inclusi violenza e molestie di genere; che stabiliscano le regole di prevenzione e controllo; che tutelino le vittime e prevedano misure risarcitorie oltre che sanzionatorie.

 

Il trattato OIL non si limita a dettare le prescrizioni per soddisfare la tutela minima contro le molestie e la violenza di genere solo con riferimento ai limiti ed alle sanzioni, ma mira a promuovere una cultura del rispetto attraverso la prevenzione ed il controllo.

 

E’ dunque giunto il momento di riconoscere, a gran forza, che la violenza e le molestie di genere sono anche un problema di sicurezza sul lavoro. E che in certi ambiti lavorativi, come il settore Audiovisivo, ci debba essere ancora maggiore attenzione alla prevenzione ed al controllo.

 

In tal senso un passo importante lo sta facendo la Società civile.

 

La nostra Associazione Women in Film, Television & Media Italia è impegnata in prima linea non solo per il raggiungimento effettivo della parità di genere attraverso lavori, iniziative e progetti, ma ha stilato una vera e propria Carta di Comportamento Etico per il Settore Audiovisivo uno

 

“…strumento di prevenzione creato e adottato da WIFTM Italia, ma disponibile per tutte e tutti contro le molestie sessuali, gli atti intimidatori e ogni forma di discriminazione, violenza di genere e body shaming sul luogo di lavoro e di studio, per la tutela della dignità della persona, delle lavoratrici e dei lavoratori, delle studentesse e degli studenti del settore audiovisivo…”.

 

L’iniziativa nasce da un presupposto importante:

 

“È diritto fondamentale di tutti e tutte, poter lavorare e studiare in un ambiente sano e accogliente”.

 

E’ un concetto semplice, in effetti, ma nessuno aveva avuto il coraggio di metterlo nero su bianco in maniera così coraggiosa e sincera.

 

Iniziare a riconoscere e ad arginare il problema nel settore audiovisivo è estremamente importante perché il risultato del suo lavoro (tecnico e artistico) proietta il punto esatto in cui si trova la strada dell’evoluzione socio – culturale. 

 

Lo voglio ripetere ancora una volta: i tempi sono maturi per portare avanti l’idea che le molestie e la violenza di genere sono (anche) un problema di sicurezza sul lavoro.

 

 

Secondo l’indagine ISTAT nel 2016 sono state un milione 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie sessuali con contatto fisico – colleghi, superiori o altre persone che sul posto di lavoro hanno tentato di toccarle, accarezzarle, baciarle contro la loro volontà – fino al tentativo di utilizzare il corpo della donna come merce di scambio, con la richiesta di prestazioni o rapporti sessuali o di una disponibilità sessuale in cambio della concessione di un posto di lavoro o di un avanzamento (Fonte: Violenza sul luogo di lavoro ).
Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”.

ILO – Convenzione n. 190 e Raccomandazione n. 206

Carta di Comportamento Etico per il Settore Audiovisivo | WIFTM Italia

Silvia Altea è avvocata civilista, si occupa in particolare di diritto del lavoro, diritto dell’informazione e diritto d’autore.

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