Le domande personali
– di Manuela Pincitore

28 Aprile 2022

“Sei pentita di non aver avuto figli?”.

La domanda più personale che una donna possa ricevere?

 

Interno giorno, Salone Underwood.

 

Due donne. Una di fronte all’altra. Una avrà trentacinque anni, si chiama Hannah, è madre di due figli, è moglie del governatore Will Conway, avversario alla presidenza degli Usa del marito dell’altra, cinquantenne, senza figli, career women, si chiama Claire.

 

Dialogano mentre i mariti parlano di affari, altrove. Il figlio (avrà sei anni?) di Hannah chiede qualcosa da bere e corre in cucina a prendere un succo di frutta, anche se non è a casa sua.

 

Claire: È così carino…

 

Hannah: Ti sei pentita di non avere avuto figli? Oh, scusa, è una domanda troppo personale…

 

Claire (sorridendo): E tu? Ti sei pentita di averne avuti?

 

Hannah resta interdetta e porta alle labbra la sua tazza di caffè…

 

 

Claire ha fatto un commento solo per essere gentile e Hannah si è sentita in diritto di porre la fatidica domanda, perché chi sta dalla parte “giusta” dell’esistenza, sa che è normale pentirsi, se si è ormai mature e non si è più nella possibilità di soddisfare il bisogno istintivo e primario di ogni donna, cioè diventare madri. Forse, solo dopo la risposta di Claire, Hannah si è resa conto, per la prima volta, che entrambe le scelte (avere o non avere figli) sono legittime ed entrambe possono essere oggetto di pentimento.

 

É una scena fantastica, breve, efficace, perfettamente a fuoco che, in una serie (House of Cards) tematicamente orientata sui giochi di potere politici ma anche interpersonali, riesce, in due battute, ad affrontare un tema, quello della maternità, ancora al centro delle questioni femminili e femministe.

 

Si, perché la donna come essere umano istintivamente portato ad accudire, prendersi cura degli altri, sacrificarsi, è un ritratto scorretto e sicuramente incompleto della donna stessa. Tutti gli aggettivi che, insieme, racchiudono il concetto del più generico “istinto materno” contribuiscono a raccontare un tipo di donna, non il modello di donna. Eppure, il tema della maternità viene ancora associato quasi esclusivamente a qualcosa di poetico, appagante, necessario; quasi mai a qualcosa di pesante, stressante, deprimente, capace di annullare la psiche e il corpo di chi genera; o a qualcosa di cui pentirsi, appunto, ammettendo il desiderio di libertà e spensieratezza che l’avere figli inevitabilmente sottrae ai genitori.

 

In un confronto conciso ed elegante, lo sceneggiatore (si, un uomo, Tian Jun Gu), riesce a sparigliare le carte e a sfidare gli stereotipi femminili, così radicati nell’immaginario collettivo, per proporre due modi diversi di essere donna, ugualmente validi e ugualmente veri. Entrambi frutto della diversa cultura di appartenenza delle due personagge. Perché non c’è un modo biologicamente giusto di essere donna: ogni ragazza dovrebbe conoscere i diversi modi di esserlo per forgiare un’identità propria, frutto di una contaminazione di aspetti culturali diversi.

 

Sceneggiatrici e sceneggiatori, produttrici e produttori, tutti noi che lavoriamo nell’industria dell’intrattenimento abbiamo una responsabilità rispetto alle storie che raccontiamo e ai personaggi che inventiamo. 

 

Possiamo coraggiosamente mostrare la complessità del mondo, il caleidoscopio di opportunità identitarie e dunque narrative, oppure restare comodi comodi sulla sedia degli stereotipi, per perpetuare una visione ristretta e soffocante dell’essere umano. Possiamo ridefinire il concetto di mainstream (che troppo spesso coincide con il malestream, ma ci torneremo…) perché i film, le serie tv o i videogames – lavorando con le immagini – hanno un immediato potere di influenzare la visione del mondo, di creare una coscienza collettiva e di formare la percezione di sé e dell’altro.

 

Chi inventa storie, dovrebbe, per prima/o, farsi delle domande che permettano di cambiare il punto di vista. E infilarle ovunque, tra le righe, nei sottotesti, nelle azioni dei personaggi e, perché no, nella propria vita, che è la nostra Storia e per questo, se non ci piace, possiamo cambiarla!

 

Parola di story editor.

 

Ma iniziamo questo gioco da qui e da te: tu, proprio tu, ti sei pentita di avere avuto figli?

 

Prova a rispondere…

 

Qui potete vedere la scena a cui faccio riferimento (House of Cards, stagione 4, episodio 11 ): Do you regret?

 

Seguitemi su LinkedIn QUI con il mio tag #storiescanshapetheworld.

heart SOSTIENI WIFTM

ASSOCIATI/RINNOVA

Supporta le nostre attività iscrivendoti o rinnovando l'iscrizione all’associazione. L’affiliazione è aperta a tutte le professioniste e i professionisti operanti nel mondo del Cinema, della TV e dei Media italiani.

SOSTIENICI

Se vuoi sostenere l’associazione e le sue attività, prosegui per effettuare una donazione libera.

Per sapere di più sull’associazione, contattaci su [email protected]