Cromostoria
– di Domizia De Rosa

30 Dicembre 2020

Giorni arancioni, giorni rossi. Giorni neri, giorni grigi.

Abbiamo visto rosso, la vediamo nera, ci sembra grigia, ma difficilmente la troviamo arancione. Eccetto a casa Wift&m, dove tutti gli accessori sono di un salubre color arancia. Che si tratti di ombretti o di loghi, la scelta di una palette è sempre un momento della verità per il nostro gusto e spesso per le nostre convinzioni. Anche se non ve lo siete mai chiesto, ecco le risposte alle vostre domande: perché siamo arancioni? Gli Hare Krishna non erano passati di moda? Perché non un delicato albicocca?

 

Innanzi tutto, because we can ovvero perché sappiamo riconoscerlo, infatti l’arancione è uno dei colori dello spettro percepibile dall’occhio umano e quindi noto fin dai tempi del pre-proto-indoeuropeo, se non prima. Tuttavia…. se l’arancione è il figlio di una spremuta d’arancia, come si chiamava prima dell’arrivo in Europa del mirabile frutto? Facile, rosso. Avete presente i gatti ‘rossi’? Se li guardate meglio, non vi sembrano piuttosto dei gatti… arancioni? Per il nanosecondo della cultura enciclopedica… l’arancio è il risultato di un incrocio tra il pomelo e il mandarino che data almeno a 4000 anni fa e è originario del sud-est asiatico. Che sia arrivato via terra o via mare, nel X o nel XVI secolo, che si sia arenato in Sicilia o che sia stato diffuso dai portoghesi, questo ve lo lasciamo googlare in pace.

 

Per quanto ci piaccia discettare di botanica, ne sappiamo meno di un pesce rosso (che tanto rosso non è visto che di nome fa Carassius e di cognome auratus, per gli amici Goldfish), ma qualcosina in più la capiamo quando si parla di simboli e simbologia.

 

Per questo nel darci un’identità cromatica abbiamo prontamente rigettato l’intera famiglia floreale del rosa-fucsia, per la sua troppo ovvia ma per niente innata associazione con il femminile più stereotipico. La nostra natura di associazione è plurima e molteplice, rifugge il divisivo e rifiuta lo scontato, specie se gemello dello scaduto. Quindi niet al cipria, al pesca e allo shocking.

 

Passaggio obbligato successivo, il rosso. Bello, forte, vigoroso… un momento, forse troppo maschile. Ma no, anche carnale, viscerale, mestruale. Che per caso si sente già sentore di autocombustione di reggiseni? Meglio di no, troppo ardere, ci basta il multitasking a stressarci.

 

Di colore caldo in colore caldo, perché caldo ha da essere, all’istinto non si chiede il perché, ecco spuntare il negletto arancione e subito ci ispira fiducia. Per cominciare, non ha il suo genere di riferimento, sia perché un maglione arancione può stare male a tutti senza alcuna discriminazione sia perché la spremuta d’arancia fa del bene a tutti, che la si ami o meno. Inoltre, si associa all’umore allegro e ad un carattere estroverso in psicologia – e se ci serviva ottimismo allora per il 50/50 by 2020, figuriamoci adesso. In cromoterapia combatte anche la depressione – appunto, dici oggi 2020 e basta la parola. In araldica denota forza, onore e generosità. Pare fosse il colore degli abiti nuziali delle antiche romane, anche se i testi di storia romana che ci ricordiamo li dicevano rossi… a riprova che il rosso forse non è rosso e che non ci sono più i tramonti di una volta. Nell’induismo è associato alla rinuncia ai beni materiali e se non lo sanno le donne di quante rinunce è costellata la strada dell’integrazione… e potremmo andare avanti così fino al secondo chakra, sede dell’energia emozionale, simbolizzato da un fiore arancione a sei petali nel quale è iscritto il cerchio – immagine da sbornia iconologica oltre la quale è inutile andare.

 

Coincidenza o ben studiata cospirazione della fazione yogica, eccoci orgogliosamente arancioni, per liberarci dai costrutti che ci ingabbiano e catalizzare le nostre energie.

 

Se vi sembra che abbiamo esagerato, non leggete quello che si dice in rete. Scoprireste che è proprio il supercolore che ci serve.

 

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